Italiano: Nella politica non c’è da sperare nulla. Sono completamente infettati dal niente in cui sono vissuti. Non c’è pensiero nelle Aule

Militari russi prendono parte alla parata del Giorno della Vittoria a Mosca. Bai Xueqi/Alamy

Giorgio Pagano: Guido Ceronetti è più volte è intervenuto, su vari giornali, dal Corriere della Sera al Sole 24 ore, rispetto allo spauracchio della fine della cultura italiana per la sostituzione tout court con quella anglofona. 
Con lui vogliamo parlare di quest’ultimo episodio, che definirei gravissimo, perché segna o la goccia che fa traboccare il vaso, e quindi crea un sussulto negli italiani tutti, oppure evidentemente sarà l’inizio della debacle totale della cultura italiana, perché nella fattispecie stiamo parlando del Politecnico di Milano, che tra l’altro vive anche con le tasse degli italiani, e che però ha deciso di non insegnare più in lingua italiana, ma di insegnare in lingua inglese.

Guido Ceronetti: Guarda, io sono ovviamente costernato da queste notizie, ma lo sono in pari modo anche per quanto riguarda l’italiano che resta. 
Il linguaggio, oltre che la lingua, è in progressivo disfacimento, perché il linguaggio che viene appreso dai giovani, che viene usato emblematicamente dai politici, è l’assurdità della negazione di un linguaggio.
Prendiamo un esempio attualmente ricorrente: spreadSpread ormai non ha sostituzione italiana. Scava scava non significa niente. Viene usata come una minaccia: mi dicono che lo spread sale, io non so cosa significa, ma ho paura, mi mettono in ansia. In ansia per che cosa, per quel poco di vita possibile che mi resta?
Mi costerna l’italiano, non soltanto la sua perdita, ma la rinuncia all’italiano per un’altra lingua, che poi esprime pensieri analoghi. 
Se noi dicessimo: adesso insegniamo soltanto nella lingua di Shakespeare e della Bibbia di Re Giacomo, monumento dei monumenti linguistici del mondo, bene. Ma se invece lo riduciamo alle cose di cui ci dobbiamo per forza preoccupare, del puro nulla… 
Oltre questa minaccia che grava sui corsi universitari abbiamo un Ministero che si chiama Welfare: ma che cosa significa? Però tutti lo ripetono, ripetono welfare, welfare, come ripetono spread, spread. Tra le espressioni più usate non c’è soltanto l’anglicizzazione pura, c’è l’anglicizzazione mista, spuria, ci sono le espressioni che derivano dall’inglese: ma che cosa significa “si sono chiamati fuori”? È lingua italiana “si sono chiamati fuori”? Puoi dire “si sono tirati fuori” da una certa cosa, ma il linguaggio è di “essere chiamati fuori”. Insomma, l’italiano che rimane è pessimo, quello degli sms dei giovani è catastrofico, quel che resta va difeso come lingua italiana. 
Io ho scritto questo mio romanzo In un amore felice che ha stampato l’Adelphi, scrivendoci sotto “romanzo in lingua italiana”, per distinguerlo da quello che esce fuori da altre parti, da altri editori meno avveduti.
GP: Ma questo quando è uscito, da poco?
GC: Oramai è più di un anno e mezzo, ma non è un best seller, tanto per parlare in italiano…
GP: Certo. Beh, vediamo di ripresentarlo e ribadirlo, quantomeno.
GC: Metto le mani avanti: è in lingua italiana. 
Certo che il Novecento è stato un grande secolo della lingua, un secolo di grandi scrittori in lingua italiana. Però, via via, ad un certo punto l’arrendevolezza e l’impoverimento del linguaggio sono la premessa inevitabile della colonizzazione. Se non ti difendi, ti occupano, è sempre così che è stato: ti occupano nel modo che oggi è possibile, economicamente e linguisticamente.
GP: Ma per lei che è uno dei nostri più grandi scrittori italiani, il contesto dei suoi, vogliamo chiamarli così, colleghi di scrittura, com’è? Reagisce, non reagisce, perché anche questo un po’ colpisce, nel senso che se noi facessimo oggi un parallelo tra le persone cosiddette impegnate di una volta e quelle di oggi, beh, forse da un punto di vista culturale, intellettuale…
GC: No, l’engagé non c’è più. Lo scrittore engagé è una figura scomparsa. Io poi non li conosco, mica seguo, mica leggo un granché, anzi pochissimo. Vedo solo qualche titolo, a volte, che mi arriva in casa, quindi non posso dire… però, probabilmente è così, che si arrendono di più alla colonizzazione quelli che si arrendono allo sfacelo ambientale. Lo scrittore verde non esiste; io, modestamente, mi sono occupato di ambiente da più di 50 anni.
GP: Questa è una considerazione interessante, certo.
GC: Ho cominciato nel ’60, ’63 per essere esatti, scrivendo un pezzo per l’Espresso, che venne rifiutato. Era l’Espresso di Zanetti. Trattava di quando fu introdotto il piombo nelle benzine. Piombo nelle benzine, poi la catastrofe delle bombe nell’atmosfera di Bikini, e poi quella di Kruscev da 100 megaton, anche se probabilmente erano meno, esplosa in Siberia. Cioè, qui o ci svegliamo come scrittori oppure… Niente: non si è svegliato nessuno, almeno in Italia, ecco. Scrittori ambientalisti, qualche parola, come dire, la dice anche il Santo Padre: “l’ambiente va difeso perché è di Dio”…
GP: Certo, se pensiamo ad esempio all’impegno di un Pasolini rispetto a un altro che oggi viene dato per scrittore impegnato che è Saviano…
GC: Beh, Saviano è uno scrittore impegnato, è vero, è bene, vorrei anche fosse impegnato sugli altri fronti…
GP: Eh, si impegna poco.
GC: Certo, la mafia occupa un po’ tutto, ma le Termopili della lingua sono da scudare. Dobbiamo scudarle, perché sennò siamo finiti, proprio come identità di popolo. Siamo un grande popolo, una grande nazione.
GP: Secondo lei sarebbe possibile fare un appello su questi fatto e sottoporlo alla firma di quanti più scrittori, intellettuali, cioè cercare un po’ di rivivificare comunque un animus dal punto di vista della scrittura italiana e del pensare italiano?
GC: Certamente si può fare, sarebbe anche un buon momento. Un altro che si occupa di lingua con attenzione è Tullio De Mauro. Insomma, qualcuno c’è qua e là. Si può chiamare a raccolta, perché non tentare?
GP: Ad esempio questo dato del Politecnico abbiamo visto che non è molto conosciuto ma indigna molte persone, nel senso che nessuno si aspettava arrivassimo fino a questo punto, perchè tutti riconoscono che l’utilizzo dell’inglese è positivo, però certo non nel momento in cui uccide se stessi di fatto, no?
GC: Eh sì, è un drago con molte molte teste: partiamo dal linguaggio, il linguaggio politico, il linguaggio economico… Certo, il nostro giornale economico, il Sole 24ore, per l’uso dell’inglese è temibile, perché ne fa un uso, anche nei titoli, che rende la lettura impossibile; anche il linguaggio sportivo è totalmente arreso alle parole inglesi.
GP: Ma in questo caso lei non ravvisa anche un tentativo di creare casta? Nel senso che alla fine è anche un problema di democrazia, perché chiaramente anche l’utilizzo della parola spread: trova il modo di dirlo in italiano, ossia divario, magari ti capisce anche la casalinga o ti capisce anche la pensionata. In questo caso c’è anche un tentativo, come al solito, italiota, antidemocratico, di fare in modo di costruirsi una superiorità con l’utilizzo…
GC: Ma questa esiste già, si veda il fatto che nel curriculum di chiunque cerchi lavoro, se non metti che hai buona conoscenza dell’inglese non te lo guardano neppure. Quelli che conoscono l’inglese creano discriminazione: un altro che non abbia il curriculum con la conoscenza della lingua inglese e anche dell’informatica, è finita. Puoi avere tutto il talento che vuoi, nessuno ti sfiora con lo sguardo. Questo crea certamente una classe di quelli che sanno l’inglese. A questa classe appartiene il presidente del Consiglio, naturalmente, il quale non concepisce niente senza l’uso e l’apporto della lingua inglese, ma anche Berlusconi perché, non so se lo sapete, lo propugnava, lo imponeva.
GP: Beh, come peraltro l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione Profumo.
GC: Sì, è un vero malanno. Anche i sindaci potrebbero fare tante cose…
Perché devono scrivere pizza house, dappertutto? Perché pizza house? Quindi, mettiamo un freno a questa roba.
GP: Cercando di avere come filo conduttore anche, se vogliamo, quello dell’ecologia e quindi anche della biodiversità linguistica e culturale, no? Il fronte della colonizzazione linguistica inglese non potrebbe essere, secondo lei, in qualche modo circoscritto ad un’operazione di tipo militare, e quindi, da questo punto di vista, avere una considerazione per cui, come ad esempio una volta si faceva obiezione di coscienza contro il servizio militare, nasca un movimento per cui si faccia obiezione di coscienza contro l’obbligo di conoscere la lingua inglese?
GC.: Non sarebbe mica male. La vedo bene la cosa.
Ma io so che è inutile, perchè, come dice la poesia di Kavafis, è bello difendere le Termopili, ma sappiamo che alla fine i persiani passeranno. Però morire sugli scudi alle Termopili… eh!
GP: Ma in questo caso, però, invece di questo eventuale pessimismo della ragione, se noi considerassimo invece delle valenze imprenditoriali, e quindi capovolgessimo l’operazione… ad esempio l’Europa, oggi come oggi, sostanzialmente, ha la necessità di contare nel mondo, no? Oggi che ad esempio l’euro è sotto attacco, e quindi c’è questa situazione di pericolo che ha visto e vede innanzitutto la Gran Bretagna, che non a caso ovviamente non ha voluto entrare nell’euro, ma anche ovviamente gli Stati Uniti, perché l’euro stava insediando il dollaro come moneta internazionale.
Non potrebbe anche questo avere una considerazione economica? Nel senso che oggi come oggi l’Europa conta mezzo miliardo di persone. 
Peraltro proprio oggi sentivo alcune considerazioni sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti, dove 50 milioni di questi 250 milioni di abitanti statunitensi sono completamente senza assistenza sanitaria e altri 50 sono sotto-assistiti. Ecco, da questo punto di vista, non ci dovrebbero, o non ci potrebbero essere delle ragioni per cui si possa in realtà capovolgersi quest’operazione, per cui di fatto sì, è auspicabile che invece i Persiani siano sconfitti? Perché altrimenti viene sconfitta l’Europa.
GC: Non escludiamo niente dai disegni della Provvidenza, non escludiamo nulla. Potrebbe anche esserci una vittoria delle Termopili. Ne dubito forte, non è scritto nei destini umani. Però…
GP: Senta, un’ultima battuta sulla politica. Non trova abbastanza disdicevole che i presidenti di Camera e Senato utilizzino la parola question time per le risposte alle interrogazioni e alle interpellanze? 
Secondo lei un appello ai presidenti di Camera e Senato perché si torni a utilizzare l’italiano nel Parlamento italiano potrebbe avere delle risposte positive?
GC: Positive non credo. Tutt’al più lo prendono per una pretesa assurda di intellettuali.
GP: Addirittura.
GC: Nella politica non c’è da sperare nulla, nulla, nulla, nulla. Sono completamente infettati dal niente in cui sono vissuti, non hanno un pensiero. Non c’è pensiero nelle Aule.
GPCeronetti, la ringrazio tanto, allora. Buona serata.
GC: Grazie Pagano, arrivederci.

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