Puntata di domenica 23 dicembre

Puntata di Domenica 23 Dicembre

Nella puntata di Domenica 23 Dicembre, condotta da Giorgio Pagano:
– la settimana politica dell’Era, condotta da Selena Vacca:
– Depardieu riconsegna passaporto e securité sociale rinunciando alla propria patria
– Lancio della Petizione dell’Era "No question time"
– Possibilità dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE

– Intervista di Giorgio Pagano a Marco Ciatti, sovrintendente dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze

– Estratto dell’intervento di Roberto Benigni sulla Costituzione

[mp3]http://www.eraonlus.org/radio/dl_2012.12.23.mp3[/mp3]

2 commenti

  • [justify]Trascizione dell'intervento di Roberto Benigni

    Articolo 6, la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

    Dico, questa è una ad personam, hanno fatto un articolo solo per Di Pietro, pensate un po'. Antonio, qui ti tutelano, la Repubblica tutela con apposite norme, tra l'altro sei tutelato, Antonio, con apposite norme, quindi voglio dire… È un articolo per tutelare Antonio Di Pietro, le minoranze linguistiche. Guardate che questo fa parte dei principi fondamentali, son tutti straordinari e c'è sempre un motivo. Queste minoranze linguistiche, venivano anche queste ammazzate dai poteri che c'erano prima, non avevano… Non le riconosceva nessuno. Son popolazioni che stanno in Italia, guardate la delicatezza dei nostri padri costituenti e madri costituenti, la delicatezza… Popolazioni che stanno in Val d'Aosta, oppure nel Trentino, nel… Che parlano francese da secoli o il tedesco da secoli, oppure il Friuli, la Sardegna, la Sicilia, regioni a statuto speciale, con apposite norme, la loro maniera di vivere, la tutela. Non è che dice “la tollero”, o “la promuovo”, no, la tutelo. Vi voglio bene, ci sto attento io, che non vi faccia niente nessuno perché siete minori, siete in minoranza, sennò ci sarebbe una dittatura della maggioranza. La delicatezza di quel “tutela”, vi tutela. Guardate che è proprio una cosa… E allora che cosa fanno, una cosa forte e delicata, li tutela però c'è una cosa nascosta, va bene. Perché questo articolo è tra i principi fondamentali? Perché è l'articolo sulla nostra lingua. Senza dirlo, senza voler offendere nessuno come maggioranza, qui è la lettura, non tra virgole, ma non l'hanno neanche scritto. Dicendo che queste son “minoranze linguistiche”, prevede e fa capire che c'è una maggioranza linguistica, un'unità linguistica, che è l'italiano e che è talmente forte che non li vuole, addirittura, sobbarcare di… E quindi, li tutela. Stateci pure voi, vi voglio bene. Non solo! Perché la nostra lingua, che è meravigliosa, si nutre, anche, delle lingue straniere e dei dialetti, che anche durante il fascismo veniva tutto tagliato, non arrivava niente dall'estero. Pensate che ci son dei dischi o dei manifesti, il famoso Saint Louis blues, veniva tradotto durante il fascismo “malinconia di Luigi”. Non si prendeva niente dall'estero… Venne a fare un concerto Luis Armstrong a Torino, c'è ancora il manifesto, c'era scritto “Stasera concerto di Luigi Braccioforte”, Arm-strong. Cioè era una cosa… Non passava niente, ma se non passa niente la lingua muore… I dialetti son meravigliosi, romagnoli, siciliani, genovesi… Ma è una ricchezza meravigliosa! Ora si fa arrivare un po' troppo dall'inglese, purtroppo… Spending review, endorsment, election day, e cose un pochino troppo… Bisognerebbe organizzare, ecco, come il family day, un giorno a difesa della nostra lingua, l'Italian language day, ecco.[/justify]

  • Trascrizione dell’intervista a Marco Ciatti

    [justify]Pagano: A Marco Ciatti, sovraintendente dell'Opificio delle pietre dure abbiamo chiesto anzitutto che cosa è l'opificio.

    Marco Ciatti: Va bene..Allora, dunque, cominciando da che cosa è l'opificio delle pietre dure oggi, tra l'altro questo nome complicato, assicuro crea continuamente equivoci, ma viene dalla storia come molte cose del nostro Paese che trovano una spiegazione se si conosce la storia del nostro Paese e Firenze essendo da sempre una Capitale della produzione artistica, ha sviluppato anche attività collaterali quali il collezionismo e la conservazione, di conseguenza, della necessità di conservare i beni collezionati. Infatti, l'istituto attuale deriva da due cose molto più vecchie. La prima, è
    la manifattura di corte fondata dal Granduca Ferdinando I nel 1588, per la produzione di vari tipi di opere d'arte per la Corte e manufatti di un millennio, gioielli, ceramiche, i famosi arazzi. Ma tra tutte le produzioni quella che divenne più famosa internazionalmente fu questo commesso di pietre dure. Una tarsia figurativa sulla base di un disegno che però venne realizzata non con legni come le tarsie lignee, ma con pietre semi-preziose, con pietre dure di cui i Medici facevano dono agli altri sovrani, arredi preziosi o, con questo sogno un po' anche simbolicamente interessante volevano rivestire la loro sepolcreto di famiglia nel cappellone della chiesa di S. Lorenzo. Questa pittura di pietra che sfida il tempo, non si corrompe, ha certamente una valenza simbolica. Con la fine del Granducato ..

    Pagano: Che è anche, mi pare, il vostro stemma..

    Marco Ciatti: Si.. si.. anche quello è uno stemma fatto in pietra dura che abbiamo in museo.

    Pagano: Appunto..

    Marco Ciatti: Con la fine del Granducato, la manifattura stava per chiudere. Il nome opificio è un nome che gli fu dato addirittura nell'Ottocento durante la dinastia Lorenese e con la fine della corte non c'era più qualcuno che mantenesse la manifattura. Per fortuna, allora dibattito dell'Italia post unitaria, il dibattito sulla necessità di conservare il patrimonio artistico era già molto sviluppato e ci furono persone di buon senso che si dettero da fare, lottarono per evitare la chiusura e trasformarlo gradualmente, con grande lungimiranza, da attività di produzione ad attività di conservazione, così sfruttando le qualità professionali, la manualità di tutti gli operatori. Grandi cantieri di restauro poco noti avvengono già nell'ultimo quarto dell'Ottocento, inizio Novecento, come è presente tutto il restauro dei mosaici del battistero di Firenze o..ma addirittura i mosaici delle chiese di Ravenna, i paramenti lapidei furono tutti oggetto di un grande intervento fatto dall'opificio agli inizi del secolo chiamati da Corrado Ricci, che era il primo sovraintendente e inventore del sistema delle sovraintendenze italiane. E quindi, da allora, l'attività di restauro, nei campi propri dell'antico opificio, cioè sostanzialmente, materiali lapidei, mosaici, pietre dure, metalli, terrecotte e cose di questo genere. L'altra radice, la seconda radice da cui noi oggi deriviamo, deriva anch'essa dal collezionismo Mediceo e in questo caso dalla collezione di dipinti che si accumulava soprattutto a Pitti in antico e poi più recentemente, dal Settecento, agli Uffizi.
    E questa enorme collezione aveva sempre avuto bisogno di pittori e restauratori che facessero revisioni periodiche, manutenzioni, interventi di riparazione e così via. Si crea, cioè, una figura di restauratore di galleria come si chiamava che attraversa i secoli e le dinastie fino ad arrivare a dopo l'Unità d'Italia come dipendente delle gallerie diventate museo statale. Nel 1932 questi operatori, questi restauratori dei dipinti furono organizzati per la prima volta con il concetto moderno di laboratorio di restauro con una struttura centralizzata, con apparecchiature anche scientifiche, la prima applicazione della radiografia, l'uso di sistemi di ingrandimento e così via. L'autore di questa innovazione fu Ugo Procacci, uno dei padri fondatori del restauro moderno in Italia. Questo laboratorio era al piano terra degli Uffizi ed ebbe stagioni bellissime di scoperta della pittura primitiva e poi dovette affrontare due grandi cose epocali, cioè: salvaguardare il patrimonio durante la guerra, la seconda guerra mondiale, e poi l'alluvione. E l'alluvione distrusse anche il laboratorio stesso che era al piano terra degli Uffizi ed è per questo che oggi abbiamo questa sede alla Fortezza Dabbasso, questo enorme laboratorio che era in precedenza un magazzino militare che fu ceduto all'amministrazione delle Belle Arti per fare il grande laboratorio di restauro delle opere danneggiate, soprattutto dipinti. L'altra grande data istituzionale è il '75 quando in Italia, Giovanni Spadolini crea per la prima volta un Ministero per i Beni Culturali, prima era tutto sotto la Pubblica Istruzione. E in questa riforma, Spadolini, da buon fiorentino, raccoglie i suggerimenti del direttore del laboratorio che era Umberto Baldini e fanno una bellissima operazione, cioè staccano il laboratorio della fortezza dalla locale Sopraintendenza, lo uniscono all'antico opificio e formano un nuovo Istituto nazionale di conservazione e restauro, che è arrivato fino a noi in questa forma, oggi, dal punto di vista proprio amministrativo è un istituto centrale del Ministero per i Beni e le attivitA Culturali che ha tre compiti: l'operatività, cioè di svolgere restauri nei propri laboratori o con cantieri esterni o in forma indiretta tramite consulenze, direzioni lavori, progettazioni, per tutte le sopraintendenze d'Italia. Poi, secondo compito, la ricerca, portare avanti la ricerca, tutti dicono in Italia si va male perché non c'è ricerca ed innovazione e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di portarla avanti.

    Pagano: Certo..

    Marco Ciatti: E anzi di trasformare ogni singolo intervento in una anche occasione di ricerca, cioè non ci interessa come una ditta arrivare in fondo a produrre un restauro e basta. Ci interessa che anche attraverso questo lavoro si metta a punto qualcosa di nuovo o si acquisiscono di volta in volta maggiori conoscenza dell'opera, gli strumenti diagnostici, le tecniche di intervento, strumentazioni, cioè di …

    Pagano: Di miglioramento, diciamo di anche delle tecniche oltre degli strumenti insomma…

    Marco Ciatti: Sotto tutti gli aspetti.. Come servizio anche perché poi queste cose non le teniamo di certo come dei segreti di bottega, ma le pubblichiamo nella nostra rivista e mettiamo a servizio questo know-how per una migliore conservazione del patrimonio a servizio di tutti, insomma, delle ditte private, delle sopraintendenze, e così via. Terzo compito è la didattica presso la scuola, presso gli istituti ha sede una scuola, detta di alta formazione, che è una delle due scuole del Ministero per diventare restauratori, che con l'ultima riforma ha passato davvero un percorso quinquennale e il diploma è parificato ora grazie ad un accordo tra i ministeri aduna laurea magistrale, quindi, abbiamo dovuto seguire tutti gli standard di tipo universitario, il sistema dei crediti, la qualificazione dei docenti, eccetera, eccetera.

    Pagano: Certo..

    Marco Ciatti: E, niente, questo è oggi l'istituto che fa.. cerca di portare avanti questi tre filoni..

    Pagano: Senta, la parte di diciamo di trasmissione del sapere, eh no, è evidente che.. la parte di trasmissione del sapere incontra difficoltà, c'è molta gente che vuole partecipare..

    Marco Ciatti – Siamo a numero chiuso perchè chiaramente noi riteniamo sia molto importante la formazione poi in laboratorio pratica al fianco con i restauratori tant'è che non c'è una scuola come un corpo separato il laboratorio è misto, se i grandi lavori che noi facciamo, i grandi capolavori che trattiamo ripeto qui dove sono io ora è il laboratorio dipinti ci sono trenta o quaranta dipinti dall'adorazione dei magi di Leonardo in giù e gli allievi lavorano negli stessi ambienti su altre opere ma negli stessi ambienti degli altri, quindi il numero non può essere più di tanto e insomma chiaramente c'è un problema di spazio e di attrezzature se no si fa solo un insegnamento teorico

    Pagano – Avete molte domande ogni anno di partecipazione?

    Marco Ciatti -Si, ne abbiamo qualche centinaio, due-trecento domande per quindici posti, ci sono tre prove di selezione attitudinali e alla fine prendiamo i migliori

    Pagano – Certo.. senta, un'altra cosa fantastica che a me pare è che poi sostanzialmente questa sperimentazione che fate quindi non solo l'opera di cui siete ovviamente magistrali nelle fatture ha questa sperimentazione cui lei poi accennava e che però produce presumo anche una trasmissione del sapere in lingua e cultura italiana, cioè nel senso che abbiamo assistito ultimamente ad un processo di disgregazione invece di quelle che sono state nel passato le eccellenze italiane appunto dicevamo addirittura che l'opificio affonda le sue radici alla fine del cinquecento per sostanzialmente fare tabula rasa con tutta quella che è la lingua, la cultura italiana, la trasmissione del sapere, l'alta qualificazione dell'artigianato, della strumentazione artigianale e così via per ovviamente accettare quello che è un vero e proprio processo di colonizzazione attraverso la lingua inglese. Ecco la cosa che ho trovato e che trovo importante è anche questo, cioè voi non avete piegato la testa forse in virtù del fatto che esistete dalla fine del cinquecento, non avete piegato la testa all'ennesimo colonizzatore, forse anche perchè siete di firenze, ma sostanzialmente mi pare che anche le domande che ricevete dall'estero comunque devono avere a che fare con la trasmissione dell'italiano…

    Marco Ciatti – Ma vede ci sono due cose da dire: una è che il settore specifico del restauro vede, cioè non voglio essere presuntuoso, ma mi pare che sia uno dei pochi settori dal punto di vista numerico nei quali l'Italia ha ancora un know-how riconosciuto di alto livello a livello internazionale, e questo un pochino ci aiuta; e l'opificio che insomma ha la sua celebrità.. questa somma di due fattori ci aiuta. C'è da dire che però.. voglio essere molto franco in questa quetione, questo dibattito che mi interessa molto.. quello che lei dice… dopo posso raccontarle degli aneddoti… bisogna stare attenti a non cadere in due forme opposte di provincialismo: la prima forma è quella per cui c'è questa sudditanza assoluta, che anche ai convegni fatti in Italia bisogna parlare in inglese come fanno in alcuni settori del mondo scientifico, che io trovo sia aberante insomma.. francamente.. l'altro provincialismo opposto è di chiudere tutte le frontiere, di tornare ad una specie di autarchia..

    Pagano – Certo, quella di epoca fascista, diciamo..

    Marco Ciatti – Si, si, sono due forme di provincialismo opposte. Bisogna instaurare un corretto rapporto. Siccome il mondo del restauro è molto piccolo (non ci sono grandi numeri come in altri settori) conosciamo benissimo tutti gli altri istituti in Italia e nel mondo, nel senso che abbiamo scambi, ci invitano per conferenze… quando vado a parlare, a presentare un restauro alla National Gallery di Londra, è chiaro che devo fare la conferenza in inglese se voglio che mi capiscano, però quando vengono qui in laboratorio è chiaro che si sforzano anche loro di dire anche una parola in italiano se a me non viene da dire quella corretta in inglese, insomma bisogna trovare una via di mezzo per una comunicazione reciproca. Credo che se c'è una stima reciproca etc. ci si può arrivare. Ad esempio noi abbiamo un buon rapporto con i Ghetti.. la fondazione Ghetti che ci sta dando una mano per un grande progetto: l'ultimo cadavere dell'alluvione, dipinto di Vasari considerato perduto, in cui loro ci hanno sovvenzionato un grande progetto di studio, ricerca, in cambio di accettare stagisti, borsisti che loro selezionano a livello internazionale per venire qui a imparare, studiare, perfezionarsi. Quindi, in tutto questo è chiaro che poi ogni tanto, soprattutto a livello di operatori, il problema della lingua c'è ed è grosso, perchè è chiaro a livello di direzione o di funzionari, io parlo un pò di inglese, loro un po' di tutte e due ci si intende. E' più a livello di operatori e questo è un vero peccato perchè tante volte il rapporto, diciamo, diretto a tutti i livelli rende estremamente più facile il dialogo e la comprensione..

    Pagano – Certo però, è anche vero che stiamo assistendo in Italia esattamente alla situazione opposta, cioè nel senso che se avevamo un eccesso nazionalista, da questo punto di vista, appunto nell'epoca in cui lei diceva, qui è esattamente l'opposto, che rischia di essere più dannoso dell'altro, cioè nel senso che se quell'altro ci ha portato una guerra persa, qui rischiamo di perdere addirittura una identità dal quale certo un popolo non si risolleva

    Marco Ciatti – Assolutamente si..

    Pagano – Cioè, se il politecnico di Milano che invece decide di fare le sue magistrali non più in lingua italiana ma addirittura in lingua inglese.. e lì stiamo parlando di architettura, e stiamo parlando di disegno, quindi non è che..

    Marco Ciatti – Veramente. Per me si sbaglia obiettivo. E' chiaro che, se uno oggigiorno vuole lavorare ad un livello professionale alto, l'inglese lo deve sapere perchè deve avere un rapporto con persone di tutto il mondo e non può pretendere che tutti sappiano l'italiano, ma altra cosa è le cose interne nostre.. cancellare la nostra tradizione come se non avessimo un passato, ma fossimo un paese in via……… mi sembra la stessa situazione.. qui noi che ci sono tanti immigrati etc., la cosa che mi colpisce tanto per esempio è che vedo spesso persone di colore, anche in treno (io sono pendolare, vado su e giù) che parlan tra di loro in inglese come se non avessero una propria lingua del proprio paese a cui fare riferimento.. non vorrei che anche in Italia, piano piano, si facesse come loro.. questo non mi piace e sono d'accordissimo con lei… la perdita d'identità è la cosa peggiore, perchè è l'identità che dà un senso a quello che fai, perchè hai un certo passato e ti apre la comprensione di qual è la linea, le prospettive che devi avere per il futuro

    Pagano – Senta, ma proprio parlando appunto di eccellenze, ma da questo punto di vista non crede che sarebbe abbastanza importante, quanto meno interessante a livello di esperimento, varare una vera sorta di poli del bello e del buono, oserei dire, cioè nel senso di tutte quelle che sono le qualità che ci contraddistinquono appunto dalla dimensione architettonica, a quella del restauro, a quella delle arti, della musica, voglio dire.. nella musica, “allegretto” si dice ancora “allegretto” in tutte le lingue etc etc.. no?

    Marco Ciatti – … I termini sono in italiano…

    Pagano – Ecco, da questo punto di vista, non sarebbe il caso di prendere e organizzare proprio questi istituti come una catena in realtà di eccellenze da esportare in tutto il mondo con anzitutto ovviamente tutta la cultura, compresa anche la lingua italiana… ad esempio non si capisce perchè non si dica “fatto in Italia” ma si continui a mettere in inglese “made in Italy”… se uno dice “fatto in Italia”, scrive “fatto in Italia” già sta portando anche la lingua italiana, no? quindi un bene in più esporta nel mondo. In questo caso, un'idea come questa potrebbe essere positiva… per cui si aggregano tutte quelle che sono le cose dell'eccellenza, ma fino anche addirittura appunto alla qualità culinaria, la tradizione che abbiamo dietro alle nostre spalle anche dal punto di vista del gusto.. beh, ricordiamo anche la birra mediterranea

    Marco Ciatti – Forse è giusto fare il sistema, è senz'altro una scelta giusta.. ora su grande scala è ovviamente molto complesso, ma ho presente iniziative tra noi e tutti gli istituti scientifici, Cnr e simili, tendiamo… per fortuna qui a Firenze ne abbiamo parecchi e anche nell'università.. tendiamo a fare in qualche modo quello che dice lei.. creare.. anzi, stiamo proprio discutendo di come dare forma a questa costante collaborazione in una forma strutturata.. il nostro ministero dei beni culturali un po' di iniziative di questo genere le ha prese e le sta prendendo, dicevo di..

    Di questi poli tecnologici, a livello anche europeo, è in corso di definizione, ci stanno lavorando. Poi, è chiaro, è più un campo nel quale, perlomeno qui in Toscana, si sta dando da fare parecchio la regione, qui in questo senso, per promuovere le eccellenze, almeno a livello regionale, per dare quel minimo di coordinamento per promuovere. E' indubitabile che si potrebbe e si dovrebbe fare di più, però diciamo, iniziative promozionali di questo tipo… Noi siamo stati coinvolti, anche appunto tipo stand fieristici, roba di questo genere ne sono stati… Convegni, roba di questo genere lo facciamo. Di sicuro l'Italia deve riuscire a offrirsi, farsi conoscere in maniera migliore, cioè non subire solo in maniera passiva il turismo come talvolta succede nelle nostre grandi città d'arte che sono assediate dal turismo di massa ma promuovere un'offerta più diversificata che è anche più sostenibile, perché poi c'è anche questo problema qui.

    Pagano – Senta, per chiudere le faccio proprio una domanda a partire dalla cosa che diceva, vale a dire qualche aneddoto in relazione a quest'incomprensione, o comunque a questioni che riguardano la lingua e la cultura.

    Marco Ciatti – Eh, sì, nel campo del restauro questo è all'ordine del giorno, perché, per esempio, dalla lingua che ci sono dei false friends, certo per noi quello che chiamiamo “restauro” in inglese è “conservation” e quello che chiamiamo “conservazione” in inglese è “preservation”. Quindi bisogna stare attenti a non creare subito degli equivoci, questo a livello proprio lessicale. Ma d'altronde il linguaggio del restauro è oltre, ha anche un problema di lessico. Ci sono state in passato delle iniziative, dei progetti, per arrivare anche a uniformare. Io ho fatto anche parte di una commissione norma per uniformare il lessico del restauro a livello nazionale, perché data la nostra storia del restauro a livello regionale e del paese, questa parte di attività vede ancora molti termini gergali, artigianali, legati ai dialetti delle varie regioni.[/justify]

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